24/12/2021Tim, una società allo sbando. Senza un capo azienda, con i soci che non concordano su niente e conti in profondo rosso. Da una parte c’è Pietro Labriola che, come nuovo direttore generale, non ha la completezza delle deleghe operative di un amministratore delegato.
Dall’altra c’è il presidente Salvatore Rossi, ex direttore generale di Bankitalia legittimamente all’oscuro di Tlc, che non intende fare tutto ciò che vuole Bollorè, socio di maggioranza relativa (23,75%) attraverso Andrea Pezzi, il vispo advisor del presidente del consiglio direttivo di Vivendi Arnaud de Puy Defontaine.
Bolloré non è disposto a uscir di scena ma, incalzato da Assogestioni, Rossi deve fare il presidente di tutti. Di qui grandi discussioni tra i consiglieri sulla data per la convocazione del prossimo Cda: chi spinge per il dopo Epifania mentre i francesi mirano a una data ancor più lontana al fine di allungare il brodo alla richiesta di “due diligence” di KKr sui conti di Tim. La proposta del consigliere Tim e presidente di Cdp, che ha il quasi 10% del capitale, di accettare subito la ‘’verifica dei conti’’ chiesta dagli americani è stata rifiutata.
Ma, diligence o no, il fondo americano ha fatto capire durante gli incontri dei giorni scorsi con i ministri italiani che andranno avanti fino all’Opa per rilevare l’intero gruppo sborsando 40 miliardi di cui 10 per l’offerta e 30 per gli investimenti necessari al rilancio e quindi procedere a separare la Rete con i suoi asset strategici dai Servizi di telefonia.
Mentre gli emissari di KKr hanno già in mano la bozza di un piano industriale, il piano che sta preparando Labriola richiede ancora tempo perché, come direttore generale, non ha in mano tutti gli strumenti per farlo. I consiglieri di Assogestioni sottolineano che i due piani industriali devono essere presentati insieme al fine di evitare scopiazzature varie.
Il fondo americano, su consiglio del superavvocato Andrea Zoppini, aspetterà fino a fine gennaio; se nel frattempo non ci saranno novità da Rossi e Labriola, presenterà ai tre ministri incaricati da Draghi per la questione Tim (Giorgetti, Colao, Franco) il piano industriale che devono verificare che non ci sia un contrasto con il Golden Power, dopodiché partirà l’Opa.
E visto che si è arrivati al terzo “allarme profitti”, rischiano pure di prendersi Tim con due soldi. Perché è assai difficile ipotizzare che monsieur Bollorè rilanci la contro Opa, dato la forza economica di KKR.
LA STRATEGIA OBLIQUA CONTRO L'IMMOBILISMO DI MONSIEUR BOLLORÈ
Una frase attribuita a Klemens von Metternich, maestro austriaco di diplomazia, assicura che la stabilità non si sposa mai con l'immobilità. Dovrebbe farci un pensiero Vincent Bolloré, che da sette anni è impantanato con la sua Vivendi nella rete ex monopolista della Tim, glorioso gioiello delle Tlc trasformato in macchina che produce pochi utili, genera molto debito e decapita top manager.
Ora che l'ennesimo ribaltone è stato consumato, e gli americani della scuderia Kkr bussano alle porte, sarebbe tempo che i francesi si dessero la scossa e ribattessero a chi osserva che «non hanno una strategia». Stare fermi è la peggiore difesa. Anche se, a ben vedere, un piano offensivo potrebbero aver cominciato a immaginarlo.
Bollorè non desiderava Tim appassionatamente. Ci entrò quasi per caso nel 2014, uscendo dal Brasile e facendosi pagare dagli spagnoli di Telefonica con una quota del gruppo italiano. Da allora ha ostentato fede imperitura nella convergenza delle reti e del multimedia, anche se in realtà desideravano solo usare la vecchia Telecom come cavallo di Troia per prendersi Mediaset. Non gli è riuscito.
Tanto che la sola vera operazione di nozze televisione-telefonia l'ha fatta Luigi Gubitosi, con Dazn, mossa non proprio favorita dalla sorte. L'affare del calcio gli è costato il posto e adesso tutto riparte dal via come nel più classico dei giochi di società (quotate). A Parigi giurano di non voler vendere ed è probabilmente vero.
Terranno in cassaforte il loro 23,75 per cento delle azioni, ora in bilancio a 80 centesimi, 30 in più dell'offerta americana. Chi li conosce bene racconta che i francesi intendono davvero restare fra i soci del gruppo italiano come riferimento a lungo termine, almeno sino a quando non avranno recuperato una parte rilevante dei soldi spesi.
E aggiunge che Tim è ancora considerata una pedina nel grande universo delle alleanze multimediali dei transalpini. Chissà? Posto questo, con una strategia obliqua, Vivendi potrebbe proporsi come sponda industriale per la mano pubblica italica. Anzitutto, intessendo il patto flessibile già nell'aria con la Cdp (che ha il 9,81%), il che la porterebbe ad un passo dalla minoranza di blocco in grado di paralizzare qualunque strategia sgradita.
L'intesa servirebbe a evitare che Kkr rispondesse alla sua natura e facesse il fondo. Prendendo cioè tutto quello si può, per cedere ciò che non serve e tenersi quanto si giudica possa portare denari. Vendere la Tim al chilo per quietare l'esigenza, scritta nella ragione sociale, di guadagnare soldi. Difficile che a Roma si voglia veder servito in tavola uno spezzatino di Tlc. In assenza di altri partner industriali veri, al governo non resta che avviare la ricerca di un "modus Vivendi" con i francesi.
I quali potrebbero giocare sulla ruota dello scorporo della rete, anche restando in una minoranza blindata con la possibilità di veto garantita dalla Cassa Depositi. L'infrastruttura potrebbe a quel punto assumere le sembianze di una Terna hi-tech in cui i costi degli investimenti necessari (eccome se servono!) verrebbero in parte scaricati sul consumatore, così come avviene con le bollette elettriche.
Ci sarebbero gli inevitabili tormenti di Bruxelles. Match complesso. Non impossibile. Certo aiuterebbe che Bollorè dicesse cosa ha in mente per le sue proprietà romane. Quando ha cominciato a chiedere la testa di Gubitosi, un socio pesante gli ha chiesto "per fare che?". Non c'è stata risposta e non può continuare così.
La rete su cui corrono i nostri dati, come il patrimonio tecnologico e i dipendenti dell'azienda, ha bisogno di veder interrotta la serie di disastri strategici e gestionali cominciata a metà degli anni Novanta. Il lucido Metternich avvertiva che «gli avvenimenti che non possono essere impediti devono essere diretti». Tim in crisi profonda, sotto assedio, a un passo dal punto di non ritorno ne ha bisogno di direzione come l'aria fresca. Per non svanire dolorosamente.