25/11/2021Un articolo del Foglio cita i piani dei due imprenditori: aumentare il valore del titolo Generali del 50% (non si sa come), poi fare una fusione e portarsi a casa una lauta plusvalenza.
I due candidati (chissà se loro sanno di esserlo) sarebbero proprio i francesi tanto temuti dal sistema Italia o la Zurich guidata da Mario Greco. Già alcuni anni fa erano circolate voci su un piano di aggregazione tra le Generali e la compagnia svizzera…
La battaglia per il controllo delle Generali prosegue con squilli di tromba giornalieri, dettati dalle mosse dei due ricconi azionisti del Leone di Trieste: Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio.
I due assedianti per ora non parlano ufficialmente, ma le cronache sono piene di scenari a loro attribuiti e finora mai smentiti. La battaglia per adesso si gioca per lo più su aspetti tecnico-legali, mentre di industria c’è ancora poco.
Oggi però un ben informato articolone del Foglio, alza i toni dei retroscena e disegna scenari rivoluzionari. Secondo il quotidiano fondato dall’Elefantino, in un editoriale a firma del direttore Claudio Cerasa, si fa riferimento alla capitalizzazione delle Generali, che oggi è ampiamente inferiore a quella di Allianz, AXA e Zurich - i tre competitori europei del Leone di Trieste - malgrado i forti recuperi registrati dall’arrivo del CEO delle Generali Philippe Donnet.
L’obiettivo dei due imprenditori, secondo le bene informate fonti del Foglio, sarebbe quello di presentare un piano che dovrebbe portare a un aumento del titolo Generali del 50%, il che vuol dire dagli attuali 18 a 27 euro. Questo comporterebbe un aumento della capitalizzazione da 30 all’iperbolica cifra di 45 miliardi di euro.
Nulla viene detto su quali azioni sarebbero realizzate per generare un così mirabolante aumento del titolo, ma quello che conta è il risultato finale: a quel punto, Generali avrebbe una dimensione quasi pari a quella di Zurich (ma ancora inferiore del 30 per cento a quella di AXA) e poco più della metà a quella di Allianz.
Il merger citato dal Foglio chiama in causa proprio i tre grandi competitor del Leone, che in Europa è il primo operatore come volumi di business. Ma poiché si parla di merger tra uguali, gli indiziati restano proprio gli svizzeri e, ma in quel caso non sarebbe alla pari, proprio la temutissima AXA.
La compagnia francese è infatti da anni lo spaventapasseri della politica italiana, e viene sventolata come arma finale contro qualunque schieramento che non voglia il bene delle Generali. Ovviamente, tra le varie ipotesi, quella su cui cade l’occhio porta diritta a Zurigo. Negli ultimi mesi, il nome di Greco è girato incessantemente sulla stampa, accreditato come candidato ideale del fronte Calta-Del Vecchio al posto dell’attuale CEO, Donnet, che ha già in tasca la fiducia del consiglio delle Generali per il prossimo mandato che inizierà ad aprile 2022.
Già alcuni anni fa, erano circolate voci di un progetto di aggregazione tra Zurich e Generali, che però non hanno mai trovato conferma. Più che un candidato alla guida del Leone dal quale, entrato in conflitto con Nagel, si separò in modo brusco nel 2016, Greco sarebbe quindi il candidato ideale, in quanto italiano, per guidare un’aggregazione con Generali e una definitiva migrazione all’estero del Leone.
Il manager napoletano da una parte e gli eventuali attuali azionisti italiani che dovessero rimanere, rappresenterebbero l’esile garanzia dell’ennesimo trasferimento all’estero di un gioiello italiano. In teoria, una fusione a guida estera comporterebbe il pagamento di un ricco premio agli attuali azionisti di Generali, con ciò creando una gigantesca plusvalenza per Caltagirone e Del Vecchio, nel caso decidessero di vendere e realizzare il loro investimento.
Le mega fusioni che hanno allontanato dall’Italia il quartier generale di alcune delle principali aziende del Paese, non sono pochi: gli esempi più recenti sono quelli di FCA e Peugeot che ha dato vita a Stellantis, e tanto per rimanere in ambito Generali, il gigante Essilor-Luxottica, per ora saldamente in mano al fondatore Del Vecchio, ma entrambi con sede in Francia.
A rendere ancora più credibile, tra le varie ipotesi di “fusione tra uguali”, quella con Zurich, ci sono alcuni indizi. Quest’estate Dagospia diede notizia (mai smentita) che l’ex CEO delle Generali oggi alla guida del colosso svizzero-americano, aveva passato un weekend a bordo dello yacht di Caltagirone e nelle cronache resta il suo comunicato di commiato dalle Generali, nel gennaio del 2016, in cui polemicamente ringraziò soltanto Caltagirone e Del Vecchio, e non l’odiata Mediobanca o gli altri azionisti del Leone.
In attesa di chiarimenti sul progetto industriale alternativo a quello che Donnet presenterà ai mercati il 15 dicembre sulla scia dei risultati conseguiti negli ultimi sei anni, per ora la battaglia resta soprattutto di profilo giuridico, per la gioia di tutti gli avvocati principi del foro in materia di business.
Proprio ieri è stato presentato ufficialmente in Senato un disegno di legge che ambisce a riformare il testo unico della finanza, varato negli anni Novanta da quello che oggi è il presidente del consiglio Mario Draghi, per ridisegnare la governance delle grandi società italiane che venivano privatizzate.
La notizia del disegno di legge è stata accompagnata da tutta una serie di interviste ed editoriali, apparsi perlopiù proprio sulle testate del gruppo Caltagirone, contro la presentazione di una lista per il rinnovo del Cda delle Generali da parte del consiglio uscente, novità assoluta nella storia di Trieste, ma già ampiamente prevista dagli Statuti di oltre la metà della capitalizzazione di borsa delle società italiane.
Tutto questo can-can ha in realtà un solo obiettivo: mettere una grande pressione sulla Consob, alla quale proprio Caltagirone nelle settimane scorse si è rivolto per chiedere un pronunciamento ufficiale sulla possibilità per le Generali di consentire al consiglio uscente la presentazione di una lista per il Cda.
La contrarietà verso questa procedura è un improvviso cambio di rotta dei due imprenditori: la modifica statutaria che la consente, infatti, fu votata anche da Caltagirone e dal rappresentante di Del Vecchio nel consiglio delle Generali appena un anno fa, sia in consiglio sia in assemblea.
Il motivo risiede nel fatto che dietro la lista del cda si possa nascondere una manovra segreta di Mediobanca per manovrare i giochi. Accusa lanciata da subito, alle prime battute del lavoro del consiglio e del comitato nomine che si occupa di gestire il processo di nomina. In termini calcistici, la richiesta alla Consob sarebbe come chiedere l’uso del VAR prima che la partita inizi.
Il cda delle Generali, composto per la maggior parte da consiglieri indipendenti secondo i criteri proprio del Testo Unico della Finanza e del Codice di Disciplina delle società quotate, sta andando avanti, a meno che la Consob non intervenga a gamba tesa nel bel mezzo del processo, prendendo la parte dei due “assedianti”.
Una sentenza dell’authority che imponesse cambi sostanziali a una procedura già utilizzata da oltre 10 società quotate in Borsa (oltre a Generali, ci sono nomi tipo Mediobanca - che coincidenza - UniCredit, Prysmian, Fineco) rischia di essere visto come un intervento a sostegno di una delle parti in causa.
La sentenza dovrebbe essere diramata a giorni, magari seguita da un’ampia consultazione presso gli attori del mercato per affrontare in modo più organico il tema del governo delle società quotate. Come nota il Foglio nella maligna conclusione, per adesso nell’assedio alle Generali si sono visti molti cavilli, ma poca industria.